La notte degli Archivi 2025. Un’eredità per il futuro

Ascolta il podcast Un’eredità per il futuro sul sito di Archivissima, disponibile a partire dal 6 giugno alle ore 18.30
In considerazione del tema proposto dall’edizione 2025 di Archivissima #dallapartedelfuturo, riflettendo sul futuro degli archivi, ci siamo chiesti come i nostri colleghi del passato hanno agito e hanno immaginato il futuro dei beni culturali e in particolare di quelli archivistici.
Abbiamo quindi iniziato a sfogliare i fascicoli conservati presso il nostro ufficio, partendo dalla documentazione più antica che attesta le primissime attività realizzate dopo l’emanazione della legge del 1939 sul nuovo ordinamento degli Archivi del Regno, legge con la quale furono istituite le Soprintendenze archivistiche, come oggi le conosciamo. Diventare ricercatori nel nostro stesso archivio ci ha permesso di vedere sotto una nuova luce le carte che sono lo strumento di lavoro quotidiano per la nostra attività di vigilanza, ma che non sempre consultiamo con regolarità, almeno per la parte più risalente. In un certo senso è come se stessimo dialogando con i nostri colleghi del passato, scoprendo così curiosità inaspettate.
Tante erano le domande che volevamo rivolgere loro: Come esercitavano la tutela? Come immaginavano di veder realizzata una vigilanza coordinata su tutto il territorio? Quali strumenti avevano a loro disposizione? E cosa ci hanno lasciato?
È stato un viaggio affascinante e coinvolgente che è iniziato con le testimonianze prodotte in un periodo drammatico per l’Italia, gli anni della Seconda guerra mondiale.

Il carteggio riguardante le misure necessarie alla tutela dei beni archivistici e alla ricognizione degli archivi e dei danni subiti è consistente e interessante. Per esempio, particolarmente esaustiva e toccante è la relazione di Nino Lamboglia, direttore dell’Istituto di Studi Liguri di Bordighera, del 18 gennaio 1945 a conclusione, usando le sue parole, “della prima parte della missione affidatami per la protezione e lo sgombero del patrimonio storico, archeologico, artistico, bibliografico ed archivistico della Liguria”.
Ci imbattiamo in provvidenziali episodi di salvataggio, come per l’archivio di Pigna per il quale si legge che “nel mese di novembre era stato provveduto a ritirare in tre casse le vecchie carte dell’archivio comunale anteriore al 1860, tra cui una cartella di pergamene medievali e molti registri dei secoli XVIII-XIX. Anche queste casse sono state trasferite nel sotterraneo, dove è ricoverato il polittico del Canavesio. Tale provvidenza tempestiva ha salvato l’archivio dalla totale distruzione, poiché, in seguito al bombardamento aereo del dicembre, la sede comunale è saltata letteralmente per aria e l’archivio sarebbe andato perduto”.

Vi sono riportate notizie di trascuratezza o di cattiva gestione degli archivi locali, informazioni per noi preziose per motivare la scarsa consistenza attuale di alcuni archivi o le loro evidenti lacune, come per il Comune di Apricale in cui si legge che il suo archivio “un tempo il più ricco della Val Nervia, negli ultimi decenni è stato a più riprese manomesso e disperso per l’incuria locale”.
Troviamo notizie sulla distruzione di interi archivi o di parte di essi, come avvenuto per l’archivio del Comune di Rocchetta Nervina che, sempre citando la relazione, è “purtroppo distrutto sin da un anno fa con la sede comunale in seguito ad azione contro i ribelli”.

Vi si leggono informazioni sui locali di concentrazione ritenuti sicuri, in cui venivano ricoverati i beni più preziosi, in casse pronte a essere movimentate in caso di emergenza, come l’ex Monastero delle Turchine, all’epoca Palazzo scolastico in piazza del Mercato a Sanremo, ritenuto idoneo dal punto di vista strutturale in quanto munito di sostegni anticrollo, perfettamente asciutto, dotato di robuste volte, con la possibilità di una chiusura sicura e occultabile dall’esterno. secondo Lamboglia “era quanto di meglio umanamente possibile trovare in Sanremo”.
Proprio per questo deposito troviamo documentate anche alcune corrette procedure per il trattamento dei beni durante le emergenze – quasi precorrendo le attuali prassi in caso di calamità – abbinate alla partecipazione attiva e alla sensibilità dei singoli. Come succede per esempio a Sanremo, dove “tutti i quadri di un certo valore e gli altri oggetti d’arte sono stati fotografati con l’aiuto di un benemerito padre cappuccino, padre Amedeo da Varazze, che ha messo a disposizione il suo apparecchio e la sua abilità di fotografo”.

E sul versante degli archivi privati? Nei suoi primi anni di attività e anche durante il periodo bellico, la Soprintendenza era impegnata nell’individuazione di archivi privati di interesse culturale. Questo comprendeva la raccolta dei dati sulle importanti famiglie liguri e sulle personalità potenzialmente produttrici di archivi di grande importanza, i contatti con i privati, le visite ispettive volte a verificare la presenza di materiale documentario. Non sempre nell’immediato queste attività incontravano il favore dei proprietari, che arrivavano anche a negare di possedere archivi, cosa che negli anni sarà smentita e porterà (alla dichiarazione di interesse culturale degli archivi stessi) a numerose dichiarazioni di interesse culturale. A volte emerge, da parte dei proprietari, una concezione dell’archivio secondo cui la documentazione contabile e amministrativa era meno interessante e forse non degna di essere considerata archivio storico, come nel caso di un nobile che dichiarava che i documenti in suo possesso non avevano interesse storico, in quanto “di carattere rigorosamente amministrativo”. Negli anni successivi il fondo sarà invece dichiarato di interesse culturale e oggi figura tra i più importanti archivi privati di Genova. Ciò dimostra che le intuizioni e gli studi dei nostri colleghi erano fondati e a volte è necessario perseverare per raggiungere il risultato desiderato!

Naturalmente non mancano gli esempi virtuosi di privati proprietari, come la marchesa Matilde Negrotto Cambiaso, che nel 1941 accetta con entusiasmo le sollecitazioni della Soprintendenza e apre l’inestimabile archivio privato Durazzo Pallavicini Giustiniani, negli anni’80 inventariato a cura di Marco Bologna e dei suoi collaboratori e oggi accessibile al pubblico e consultato da studiosi di tutto il mondo.
Lettera al Prefetto di Genova della marchesa Matilde Negrotto Cambiaso, 6 agosto 1941, fascicolo “Archivio Durazzo Pallavicini Giustiniani”.
L’esito di questa indagine ha portato in molti casi all’emanazione della dichiarazione di interesse culturale, e quindi alla tutela a vantaggio delle generazioni future. La prima dichiarazione della nostra Soprintendenza, all’epoca competente per il territorio di Liguria, Apuania e Sardegna, riguarda l’archivio della famiglia Del Carretto, con documentazione a partire dalla fine del XIII secolo, oggi conservato presso l’Istituto Internazionale di Studi Liguri di Albenga e oggetto negli ultimi anni di interventi di inventariazione analitica secondo criteri scientifici aggiornati.
Dichiarazione di importante interesse dell’archivio Del Carretto, 19 agosto 1941

Per quanto riguarda le attività volte alla conoscenza del patrimonio, negli anni Cinquanta e Sessanta, un grande sforzo è stato profuso per provvedere all’inventariazione degli archivi storici comunali.

In ogni fascicolo si trova corrispondenza relativa alla necessità di procedere al riordino degli archivi e alla redazione di strumenti di ricerca aggiornati. Questi venivano curati dai funzionari della Soprintendenza, del locale Archivio di Stato o della competente Prefettura secondo precise indicazioni di carattere archivistico diramate dal superiore Ministero dell’Interno.
Lettera del Comune di Pieve di Teco in merito al riordinamento e all’inventariazione dell’archivio comunale, 21 marzo 1959, fascicolo “Comune di Pieve di Teco
La documentazione doveva essere distinta tra la parte antica, dalle origini fino al 1870, e quella più recente, dal 1871 in poi, che andavano riordinate e descritte secondo metodi diversi. Compito della Soprintendenza era verificare la correttezza degli inventari alla luce delle disposizioni ministeriali e alle indicazioni della stessa Soprintendenza in seguito alle ispezioni.
Gli inventari sono molto uniformi ed essenziali, redatti su moduli prestampati con apposite fincature in cui sono rilevati gli elementi minimi descrittivi delle unità archivistiche, come il titolo e gli estremi cronologici, e sono generalmente privi di una introduzione storica e archivistica.


Pur nella loro veste burocratica, distante dagli strumenti di ricerca odierni, risultano molto rilevanti perché attestano la situazione dell’archivio in uno specifico momento e sono ancora oggi da noi utilizzati come punto di partenza per la progettazione di nuovi interventi di ricognizione, riordino e descrizione. Il raffronto con questi strumenti è essenziale per verificare lo stato attuale della documentazione e per individuare eventuali lacune.
Nel corso della lunga attività del nostro Ufficio sovente i funzionari hanno trovato situazioni conservative non adeguate. In alcuni casi solo le segnalazioni e i solleciti della Soprintendenza sono riuscite a convincere gli enti a conservare la propria documentazione in maniera adeguata, come per l’archivio dell’Ospedale San Bartolomeo di Sarzana, importante ente di assistenza sanitaria, che raccoglie e tramanda documentazione prodotta da numerose opere pie, confraternite ed enti di assistenza e beneficenza. Le relazioni delle visite ispettive a partire dal 1958 ci mostrano purtroppo il disinteresse dell’amministrazione ospedaliera dell’epoca verso la propria memoria storica. Malgrado le promesse di trasferire la documentazione in una sede più idonea e di riordinarla, negli anni successivi la situazione peggiora ulteriormente.

Una relazione del 1970 denuncia che: “La parte più antica è accatastata in un abbaino del tetto, per raggiungere il quale è stato necessario servirsi di scala a pioli con grave pregiudizio dell’incolumità personale del sottoscritto”. L’archivio “è tra l’altro esposto alle intemperie, in quanto il locale non è neppure protetto da una porta: i documenti, le filze, i registri sono accatastati alla rinfusa sul rozzo impiantito, appena coperti da tele: non esiste, ovviamente, neppure un principio di ordine”. Tale situazione è tanto più grave in quanto la documentazione conservata in questo modo è la più antica, risalente addirittura al 1452.
Relazione di visita ispettiva del 22 dicembre 1970, fascicolo “Sarzana AS”
Dopo i ripetuti solleciti del Soprintendente si iniziano a vedere segnali di miglioramento e in una relazione del 1972 leggiamo che “la situazione è alquanto migliorata per quanto riguarda le condizioni di protezione dei materiali d’archivio nei confronti delle intemperie. Infatti, la parte più antica delle carte, giacente in un abbaino del tetto, non è più accatastata, ma disposta provvisoriamente in casse di legno”, e finalmente nel 1975 si riuscirà a spostare l’archivio in una sede più idonea.
Oggi l’archivio dell’Ospedale San Bartolomeo di Sarzana, composto da più di 1100 unità dal 1423 al 1970, è riordinato e inventariato, ed è disponibile per la consultazione, grazie a un finanziamento del nostro Ministero nell’ambito del “Fondo cultura 2021”.
Sempre riguardo alla conservazione fisica dei documenti e alle sedi in cui questi venivano custoditi, un altro esempio illustre è rappresentato dall’archivio storico del Comune di Chiavari. Riordinato nel 1935 e collocato nella Torre civica, è stato oggetto nel tempo di diversi sopralluoghi da parte della Soprintendenza.
I locali erano forse stati scelti in quanto storica sede del governo cittadino e ritenuti adatti a ospitare documentazione antica in un contesto altrettanto antico e prestigioso.
Relazione di visita ispettiva presso l’archivio del Comune di Chiavari, anni ’50, fascicolo “Comune di Chiavari”

Questa destinazione, in passato ritenuta idonea e in linea con la normativa dell’epoca, a partire dagli anni Novanta fu oggetto di rilievi e sollecitazioni della Soprintendenza fino al definitivo trasferimento nel palazzo della Cittadella di Chiavari, già sede del Tribunale.
Si è quindi affermata una nuova attenzione all’archiveconomia, cioè alla scelta e alla cura di depositi più moderni e funzionali, magari meno belli e storici, ma dotati di ogni dispositivo atto a garantire le idonee condizioni conservative, come scaffalature metalliche, impianti antincendio, di rilevazione della temperatura e antintrusione.
Anche l’archivio del Comune di Chiavari nel 2021 è stato oggetto di un intervento di ricognizione che ha portato alla realizzazione di elenchi di consistenza aggiornati.
Sfogliando le carte non mancano progetti volti alla tutela e alla conservazione della documentazione da preservare per gli anni futuri, che non hanno poi visto la luce o che non si sono realizzati così come pensati originariamente, come quello riguardante la costituzione della Sottosezione di Archivio di Stato di Albenga. Istituita formalmente nel 1954, su richiesta dell’Amministrazione comunale, la Sottosezione non è mai entrata in funzione a causa di problemi principalmente legati alla mancanza di una sede e delle risorse necessarie. Oggi la documentazione storica più importante è custodita dalla Sezione Ingauna dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, che ne assicura la conservazione e la fruizione ed è un vivace centro di studi e un punto di riferimento per la comunità degli studiosi e per il territorio. In questo caso, quindi, il mancato progetto è stato la premessa per una soluzione di successo, raggiunta affrontando il problema da una differente prospettiva.


In conclusione, ci teniamo a sottolineare che gli episodi che abbiamo narrato e che speriamo abbiano suscitato la vostra curiosità, sono solo una piccola parte delle attività che la Soprintendenza ha svolto e continua a svolgere a partire dalla sua istituzione nel 1939. Il nostro archivio, come del resto tutti gli archivi, è una fonte pressoché inesauribile di spunti, informazioni e continuerà a reinventarsi e ad emozionarci. E forse, proprio partendo dal lavoro fatto per questo podcast, che ci ha portato a riscoprire come i nostri antichi colleghi hanno immaginato il futuro degli archivi e come hanno agito per realizzare i loro piani, potremo pensare a nuovi progetti di valorizzazione e divulgazione della nostra memoria, dal passato al futuro.
Ricerca e testo a cura di Eleonora Baddour, Martina Borello, Michele Gianelli, Francesca Mambrini